Il mito dell'adulto

29/05/2020

Lapassade

La maturità è una maschera. Il gruppo di adulti che mi ha adottato sorveglia i miei gesti, l'intera mia vita. Mi aiuta a non ritornare al di qua di quel confine che ormai mi separa, e per sempre, dall'infanzia. lo devo, in ogni momento, apparire un adulto. Innanzitutto, io sono adulto per gli altri nello stesso modo in cui gli altri lo sono per me. Negli incontri devo nascondere tutti quei tentennamenti, quel brancolare che verrebbero considerati segni inaccettabili di immaturità. lo sono responsabile di questo mio volto. E non soltanto di dinanzi ai miei pari; ma dinanzi ai miei figli, ai miei allievi, ai miei impiegati.

Nelle cose che tutti i giorni faccio e dico, a faccia a faccia con gli altri, la prima cosa di cui devo preoccuparmi e non perdere la faccia, questa faccia di adulto che nel mondo ha pure le sue parti da recitare.

Questa maschera è il prodotto di un tirocinio. L'infanzia e la giovinezza sono state per lungo tempo quella cappa sul cammino della vita nella quale viene effettuato il passaggio all'età di uomo, il momento in cui l'individuo acquista gli strumenti indispensabili alla sua integrazione sociale. Le civiltà tradizionali hanno glorificato e ritualizzato questa tappa in cui l'adolescente esce dalle incertezze dell'infanzia, porta a termine la sua crescita, prende il suo posto definitivo nella società, diventa adulto. I riti di passaggio consacra no l'ingresso nella vita. Essi sottopongono i giovani a delle prove destinate innanzitutto a stabilire se essi posseggono quelle qualità che fanno dell'uomo un adulto: la padronanza di se stessi, la capacità di tener fede agli impegni, di essere responsabile, di fare il proprio mestiere di trasmettere la vita.

L'adulto è, prima di tutto, una realizzazione definitivamente compiuta. Per lui, di solito, ormai il gioco è fatto. Il suo universo è un mondo fisso: i mestieri sono stabili, le tecniche si trasmettono senza grandi cambiamenti da una generazione all'altra. I conflitti fra generazioni, se esistono e se si manifestano, sono limitati alla trasmissione dei poteri. La politica, l'arte, l'ideologia esprimono questa stabilità universale. Nel cambiamento predomina l'ordine. La filosofia inventa dei sistemi che sviluppano un discorso unificato e coerente, nel quale il pensiero dell'immaturità non trova alcun posto: esso non potrebbe significare altro che carenza, non-essere, privazione. Il mondo dei Greci inizia nel caos e trova il suo compimento nella bellezza immobile del cosmo. La letteratura resta di tipo classico; ubbidisce a certe regole che danno una misura e riescono a imporsi sulle incertezze preliminari dell'invenzione.

L'improvvisazione, la spontaneità creatrice non sono che fasi preliminari. che poi non vengono messe in mostra. Vengono rifiutate, cosi come, dietro alle maschere della maturità, l'infanzia viene ricacciare indietro. L'ordine regna. Quest'ordine tradizionale, fondato sull'organizzazione gerarchizzata del mondo, ha trovato ovunque delle giustificazioni prestigiose. Ciò che ha modificato insensibilmente il volto delle società e il passaggio da un equilibrio a un altro equilibrio: gli adulti succedevano agli adulti. Ma l'avvento della società industriale ha fatto entrare le società evolute in uno sconvolgimento incessante delle tecniche di produzione e dei rapporti sociali. Da allora, più nulla è fisso, neppure la nozione di maturità. La distruzione accelerata delle vecchie strutture ci ha persino aiutato a capire che la maturità, ben lungi dal collocarsi al termine del divenire umano, si trova alle sue stesse origini.

Gli adulti erano i nostri antenati, e l'uomo progredisce solo se si allontana da questa condizione originaria. Lo studio delle società cosiddette primitive ci mostra d'altronde quale preminenza - al giorno d'oggi ormai comparsa - venga in esse conferita al mito dell'adulto. E come nella cultura, anche nella vita l'adulto incarna assai più il passato che non l'avvenire.

(Da G. Lapassade, Il mito dell'adulto, Guaraldi, Bologna 1971, pp. 19-22 e 27-8.)